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La qualità della farina, nonché l’effetto che le sue caratteristiche determinano nell’impasto, molto più che dalla sua tipologia (00,0 o altro) è determinata dalla capacità che essa ha di reagire sviluppando un impasto elastico e resistente capace quindi di trattenere i gas della fermentazione.

Per poter distinguere le diverse tipologie di farina la legge fa riferimento ad una classificazione attraverso la quale le farine di grano tenero vengono distinte in tipologie ben definite: 00, 0, 1, 2 ed Integrali, dove in sintesi si passa per gradi dalla farina, “00” più bianca all’Integrale più scura dove rimane buona parte della crusca. La qualità della farina, nonché l’effetto che le sue caratteristiche determinano nell’impasto, molto più che dalla sua tipologia (00,0 o altro) è determinata dalla capacità che essa ha di reagire sviluppando un impasto elastico e resistente capace quindi di trattenere i gas della fermentazione. Questa sua caratteristica, per buona parte, dipende dalla quantità e dalla qualità delle proteine presenti nel grano da cui deriva. Per classificare e quindi distinguere le diverse qualità di farina, erroneamente si fa riferimento al W come unico parametro di riferimento: Giusto o sbagliato?

Il W (indice di forza della farina) è un valore ottenuto attraverso una analisi di laboratorio effettuata con una apparecchiatura denominata Alveografo di Chopin dalla quale, oltre che questo numero, possiamo rilevare anche il P/L ossia il rapporto tra resistenza ed estensibilità della farina all’interno di un impasto. Ma è corretto considerare il test alveografico e, soprattutto, solo questi due valori, come carta di identità di una farina? La risposta si può trovare valutando meglio le condizioni che regolano questo test il quale, pur essendo rapido, ha alcuni limiti.

Andiamo a vedere perchè:

  • Il test viene eseguito con un impasto ad idratazione costante del 50% (+ sale al 2,5%)e questo a prescindere dall’effettivo assorbimento della farina che per le più proteiche può superare il 60%;
  • L’analisi richiede molta manualità dell’operatore il quale può quindi condizionare il risultato;
  • L’Alveografo considera una tolleranza strumentale del +/- 8% e ciò significa che una farina con W 300 gravita in un range che va da 276 a 324 cioè 48 punti;
  • In totale ha una durata di solo 28 minuti comprensivi del tempo di impastamento (8 minuti) e quindi con modalità e tempi che non rappresentano le reali condizioni d’uso di un impasto da pizza il quale riposa diverse ore e soprattutto si trasforma anche sotto l’effetto dei sottoprodotti della lievitazione (alcool etilico e gas carbonico).
  • A partire da queste si è in grado di comprendere che l’Alveografo di Chopin è in grado di fornire solo una prima traccia di valutazione della farina, un primo colpo d’occhio che però richiede di osservare con maggiore attenzione analizzando altre tipologie di valori descrittivi e strutturali. Si può quindi affermare che il W ed il P/L da soli, non siano sufficienti a rappresentare quello la farina sarà capace di offrire durante il suo utilizzo. Nei laboratori dei Molini più moderni, allo scopo di realizzare analisi reologiche più attendibili ed offrire farine sempre più controllate, oltre all’Alveografo di Chopin vengono utilizzate altre apparecchiature come il Farinografo e l’Estensografo di Brabender.

    Cosa misurano questi strumenti?

    L’assorbimento e la stabilità farinografica oppure la resistenza, l’elasticità e l’energia estensografica per mezzo di impasti ad idratazione corretta, con tempi di riposo più lunghi. La verifica che ne risulta è di gran lunga più approfondita poiché misura le reali prestazioni delle diverse tipologie di farine ed il comportamento dinamico di un impasto. L’utilizzo di queste apparecchiature non è condizionato dall’abilità dell’operatore. Per questi motivi si possono considerare sicuramente valori più attendibili rispetto a quelli alveografici. Purtroppo la lettura dei valori farinografici ed estensografici oltre che una corretta interpretazione richiede molta esperienza ed è proprio per questo motivo che parole come “Energia” o “Stabilità” sono meno conosciute e utilizzate nel “vocabolario” dei pizzaioli. Ma allora esistono dei valori che possono rappresentare bene le caratteristiche di una farina e la corretta destinazione d’uso? Il W ed il P/L, così come nessun altro valore reologico considerato singolarmente, no di sicuro! La qualità di una farina è il risultato di una visione d’insieme che tiene in conto non solo di quanto finora detto ma anche della corretta gestione del processo di macinazione del chicco e della qualità del grano che andiamo a macinare. Il suo reale valore non è esprimibile con numeri ma è legato alle caratteristiche del grano da cui deriva. E’ quindi un’attenzione a più livelli dove la qualità è intesa in senso molto ampio: dalla selezioni dei grani, a un attento processo di macinazione che rispetti il chicco e le qualità delle singole varietà, alla sapiente miscelazione di farine per ottenere i blend più adatti alle diverse tipologie di impasti Insomma una buona pizza non si fa con un W ma con la perfetta combinazione tra la scelta della farina giusta e il vostro talento.

    Articolo estratto da Pizza Stories

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