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Quando si pensa allo zafferano una delle prime cose che ci viene in mente è il celeberrimo risotto alla milanese, piatto della tradizione meneghina facile da ricordare perché del tutto emblematico nel suo bel giallo acceso. Eppure, questa pianta della famiglia delle Iridaceae ha una storia lunga e affascinante.

Coltivato in Asia minore e in parecchi paesi mediterranei, trova ormai una discreta diffusione, sia pur con differenti gradi di qualità, in molte regioni italiane: da Abruzzo e Marche, a Sicilia, Calabria e Sardegna e ancora Toscana e Umbria. Allo stesso modo si sta diffondendo velocemente anche a nord del nostro paese. Originario dell’Asia minore, viene menzionato in un papiro egiziano risalente al 1550 a.C. Per la mitologia greca nasce dall’amore, ricambiato, di un bellissimo giovane di nome Crocus per una ninfa di nome Smilace che però era la favorita del Dio Ermes, il quale, per vendicarsi, trasformò il ragazzo in un bulbo. Nel corso dei secoli lo zafferano è stato utilizzato in tanti modi diversi. Viene citato da Omero, Virgilio e Ovidio nelle loro opere. Nell’Iliade, ad esempio, si racconta di Isocrate che usava far profumare i cuscini con lo zafferano e di come questa spezia fosse utilizzata per la profumazione dei pavimenti. I Sidoni e gli Stiri lo impiegavano per colorare i veli delle spose e i sacerdoti per diffonderne la fragranza nei templi in occasione delle grandi cerimonie religiose. La produzione di zafferano come materia di lusso aumentò ai tempi dell’Impero Romano, per profumare abitazioni e bagni imperiali.

La coltura sopravvisse successivamente, sia a Bisanzio sia nei paesi arabi. Intorno all'anno mille gli Arabi ne reintrodussero la coltivazione in Europa attraverso la Spagna. Allo zafferano venivano attribuite virtù afrodisiache, come si può leggere sia da Dioscoride sia da Plinio, perché si supponeva capace d’incrementare tanto l’attività sessuale degli uomini quanto di accrescere il desiderio nelle donne. Nella cucina medioevale e rinascimentale esso veniva usato oltre che per il suo aroma anche per il suo colore simile all’oro come antidoto contro qualunque male. Per tutto il Medioevo la pianta ha mantenuto il nome di croco, fino a quando gli arabi lo cambiarono in za’faran, derivato dal persiano sahafran, riferito al colore giallo intenso che gli stimmi assumevano dopo la cottura. Nel centro del nostro paese la coltura dello zafferano è documentata a partire dal XIII secolo. Si narra che il cardinale Richelieu usasse come eccitante una confettura allo zafferano, così come alla fine di quel secolo il chirurgo francese Ambrogio Parè consigliasse agli impotenti di mangiare il risotto condito con questa spezia. Nel corso dell’800 il pensiero scientifico era diviso fra coloro che ritenevano la spezia debilitante e chi invece ne constatava gli effetti eccitanti sulla libido, mentre all’inizio del XX secolo veniva ancora consigliato contro la sterilità femminile.

Secondo la medicina naturale gli stimmi della pianta andavano prescritti come rimedio contro reumatismi, gotta, mal di denti e come abortivo. Un tempo possedere dello zafferano era simbolo di ricchezza: per ottenere infatti un chilo di stimmi servono ben duecentomila fiori. Ancora ai nostri tempi in alcune aree del sud esiste una tradizione secondo la quale per augurare felicità agli sposi sul letto nuziale vengono sparsi dei fiori di croco. Se nelle ricette di cucina di oggi lo zafferano è usato tanto nella tradizione quanto dai grandi chef in qualunque preparazione sia salata sia dolce, anche in pizzeria se ne fa uso, sia pur con parsimonia. L’ha fatto Luca Doro, pizzaiolo dell’Alleanza Cuochi e Pizzaioli Slow Food quando ne ha celebrato gli utilizzi negli impasti e nelle farciture selezionando quello coltivato in Terra di Lavoro. Allo stesso modo una pizza allo zafferano è stata la sfida vinta da Vincenzo Capuano del team di Rossopomodoro Lab, il quale ha creato quello che si può considerare un collegamento ideale tra la sua Napoli e Milano che l’ha accolto, con lo zafferano nell’impasto e un topping a base di provola e salsiccia. Patate viola, mozzarella di pecora, pomodorini, baccalà e zafferano DOP de L’Aquila sono invece le farciture di Ori e Sapori d’Abruzzo, la pizza di Roberto Tacconelli di Pineto, il quale ha vinto la terza edizione del Campionato di pizza allo Zafferano DOP de L’Aquila organizzato da Nicola Salvatore.

Articolo estratto da Pizza Stories

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